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I disturbi del comportamento alimentare (DCA)

Quali sono le cause dei disturbi del comportamento alimentare?

Gian Luigi Luxardi, psicologo

Non esiste un’unica causa dell’anoressia e la bulimia nervosa: esiste piuttosto una concomitanza di fattori di tipo individuale, familiare e socioculturale che possono predisporre a questi disturbi. Benché le varie teorie psicologiche abbiano, di volta in volta, puntato l’attenzione su singoli aspetti, si pensa che focalizzarsi su di un unico, presunto fattore causale sia fuorviante; sembra sia necessario il concorso di più determinanti per generare un disturbo del comportamento alimentare.
Accanto ai fattori predisponenti, che determinano una maggiore vulnerabilità al disturbo, vanno presi in considerazione inoltre i fattori scatenanti, da cui dipendono le circostanze dell’esordio e senza il concorso dei quali probabilmente non si manifesterebbe il disturbo.
Infine vengono esaminati i fattori di mantenimento della malattia che tendono a perpetuarla in assenza di intervento.

 

Figura 1 - La natura multifattoriale dei disturbi del comportamento alimentare.

 

Per avere un’idea corretta della dinamica dei disturbi del comportamento alimentare bisogna tenere presente una serie di eventi alcuni dei quali giocano un ruolo nella creazione di una vulnerabilità al disturbo, altri nel passaggio dalla vulnerabilità al disturbo vero e proprio e infine nella costruzione di un circolo vizioso che mantiene la malattia.

 

FATTORI PREDISPONENTI
Fattori individuali
Ci sono alcune caratteristiche individuali che accomunano le persone che soffrono di anoressia e bulimia; questi elementi concorrono a predisporre un terreno sul quale può innestarsi il disturbo del comportamento alimentare.
Un primo elemento è di tipo cronologico: gli adolescenti sono più vulnerabili al possibile sviluppo di un disturbo alimentare. l’adolescenza è un periodo estremamente delicato di passaggio fra la dipendenza dell’infanzia e l’autonomia della fase adulta. Il disturbo alimentare può nascere dall’incapacità di far fronte a questi cambiamenti e dalla paura della maturità: in un certo senso la malattia è un mezzo per ritornare bambini, sia sul piano fisico che sul piano affettivo e cognitivo.
Tra i fattori di tipo psicologico sembra rilevante l’idealizzazione della magrezza, peraltro rinforzata dai messaggi veicolati quotidianamente dai mass-media. Viene costruita un’immagine di sé strettamente legata a tratti fisici dove la magrezza è percepita come un segno di originalità e di valore (magro è bene; grasso è male). Tutto ruota intorno al corpo come una fonte di autonomia e di controllo. Le donne, e in particolare le ragazze più giovani, sono più vulnerabili degli uomini a questo atteggiamento per motivi legati all’educazione e al contesto socioculturale: sono molto sensibili al giudizio degli altri e il loro valore personale è legato maggiormente alla loro immagine esteriore.
Generalmente sono presenti tratti di personalità caratterizzati da perfezionismo. Si tratta di ragazze ambiziose, con ottimi risultati a scuola e nelle attività che intraprendono, che mostrano un impegno e una tenacia spesso viste come prova di grande maturità e responsabilità. In realtà dietro questo atteggiamento di dedizione e sacrificio si nasconde una bassa autostima ed una profonda insicurezza personale, che esprime il timore di non essere accettati dagli altri per quello che si è , ma solo a condizione di dare il massimo delle proprie possibilità. Nelle persone che si ammalano questi tratti vengono spinti all’esasperazione, con l’eliminazione di qualsiasi cosa che non abbia a che fare con lo studio o l’attività su cui si è investito. Nella maggior parte dei casi si giunge a livelli di impegno non sostenibili e al conseguente abbandono della scuola.
Legato al perfezionismo è un particolare tipo di pensiero, definito pensiero “tutto o niente”, caratterizzato dall’assenza di ogni gradualità nel modo di argomentare: le cose sono bianche o nere, i risultati ottenuti sono ridicoli se non si raggiunge il massimo. La ragazza che affronta la dieta per sentirsi più accettata dagli altri penserà che il suo corpo dovrà essere perfetto, altrimenti ogni suo sforzo sarà stato vano.
Nel periodo premorboso di molte persone si ritrovano tratti di ansia e di depressione. Tuttavia è probabile che questo tipo di disturbi siano conseguenti allo stato di malnutrizione (vedi pag. 10).
Ci possono essere, infine, delle determinanti ereditarie, tra le quali, la tendenza al sovrappeso: un’adolescente con le caratteristiche psicologiche di cui abbiamo parlato prima, sentendosi diversa dal modello di aspetto fisico dominante, può polarizzare la sua attenzione sull’esigenza di condurre una dieta ed entrare nel circolo vizioso dell’anoressia nervosa e della bulimia.
Caratteristiche familiari
Il ruolo della famiglia nell’insorgenza di un disturbo alimentare è stato spesso enfatizzato a sproposito. Le varie teorie che si sono occupate di questo aspetto hanno fatto riferimento ad un rapporto disturbato tra madre e figlia o ad una particolare configurazione della dinamica familiare, che presenterebbe una madre dominante iperprotettiva e un padre assente. In realtà è impossibile sapere se un particolare clima familiare sia la causa o piuttosto la conseguenza del disturbo. Sarebbe strano pensare che, di fronte ad una figlia che deperisce giorno per giorno, il genitore non diventi iperprotettivo.
Ciò che appare dalle osservazioni allargate è che esiste una molteplicità di situazioni familiari diverse ed è difficile trovare dei denominatori comuni.
Una considerazione a parte va spesa per quelle famiglie in cui esista una particolare attenzione ai temi dell’aspetto fisico e dell’alimentazione. E’ probabile che un clima familiare in cui questi aspetti vengano enfatizzati possa portare alla costruzione di un’immagine di sé polarizzata sull’aspetto esteriore. Tuttavia, anche in questo caso, non esistono prove che i disturbi del comportamento alimentare si manifestino più frequentemente in contesti di questo tipo.
Caratteristiche socioculturali
L’anoressia nervosa e la bulimia sono diffuse principalmente nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo in proporzione al livello di assimilazione della cultura occidentale: questo fa pensare che i disturbi del comportamento alimentare abbiano una determinante socioculturale.
L’ideale della magrezza è esaltato da tutti i mezzi di comunicazione: l’aumento dei casi di anoressia e bulimia negli ultimi anni va di pari passo con la diffusione di articoli relativi alle diete e di prodotti per dimagrire. L’immagine attuale di donna di successo non è legata tanto al possesso di particolari capacità quanto a modelli irreali di donne attraenti e, soprattutto, molto magre (si pensi alle copertine delle riviste e le passerelle in cui imperano ragazze ossute e consunte). E’ facile intuire quanto potere questi modelli culturali possano avere su persone particolarmente vulnerabili alle influenze esterne, come per esempio gli adolescenti o soggetti con tendenza al perfezionismo.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che disturbi quali l’anoressia e la bulimia vengono spesso mitizzate: i rotocalchi le presentano come malattie delle ragazze di classe sociale elevata, belle e intelligenti, quando non delle principesse. E’ indubbio che per molte ragazze alla ricerca della propria identità, la capacità di controllo sul proprio corpo dell’anoressica e la possibilità di attrarre l’attenzione degli altri su di sé possono rappresentare un elemento di fascino.
FATTORI SCATENANTI
Il destino di una persona che presenti una vulnerabilità ad un disturbo alimentare può essere diverso a seconda della presenza o meno di altri fattori, cosiddetti scatenanti, che determinano la comparsa del disturbo.
Si pensa che l’intraprendere una dieta dimagrante, dove esista una predisposizione al disturbo, rappresenti un fattore cruciale. Ciò ovviamente non significa che tutte le persone che iniziano una dieta andranno incontro ad un disturbo alimentare. La combinazione di fattori predisponenti e fattori scatenanti sembra essere una formula necessaria per la manifestazione del disturbo.
A volte l’inizio di una dieta si associa a situazioni e problematiche adolescenziali come lo sviluppo puberale, il distacco dalla famiglia, l’occasione di un viaggio senza i genitori e l’inizio, o la conclusione, di una relazione affettiva.
Altre volte si tratta di situazioni legate a momenti difficili e negativi della vita, come la morte di un familiare, di un amico, le malattie.
Molto peso, in questa fascia d’età, hanno i commenti delle persone, soprattutto dei coetanei in riferimento al proprio aspetto fisico.
FATTORI DI MANTENIMENTO E VANTAGGI DELLA MALATTIA
Consideriamo fattori di mantenimento della malattia tutti quegli eventi che contribuiscono a rinforzare la condizione patologica una volta innestata. E’ molto importante tenere in debita considerazione questi aspetti poiché spesso l’unico intervento possibile è rappresentato dalla riduzione di questi fattori: nell’impossibilità di reperire una causa precisa da rimuovere, l’intervento più efficace è rappresentato dalla modifica di quegli elementi che tengono in vita il disturbo.
Inizialmente sono molto importanti gli aspetti legati al pensiero. Le idee sull’importanza del peso e delle forme corporee spingono la persona a formulare un unico pensiero “E’ assolutamente fondamentale che io sia magra!”, e a considerare valida qualsiasi azione tesa al raggiungimento di questo obiettivo. L’intervento, in questo caso, è rappresentato dalla messa in discussione di questi presupposti. Tuttavia, spesso idee di questo genere vengono rinforzate dall’ambiente esterno. Non è raro trovare qualcuno che si complimenta con una ragazza normopeso che si mette a dieta.
Con il tempo, tuttavia, il rinforzo esterno tende a diminuire e il fattore di mantenimento più importante diventa la sintomatologia da digiuno, di cui abbiamo già parlato. L’attenzione al corpo e al cibo si accentua e si aggravano le distorsioni dell’immagine corporea. Le difficoltà gastro-intestinali conseguenti allo stato di malnutrizione rendono difficile mangiare e ad ogni assunzione alimentare si accompagnano dolori, spasmi e gonfiori fastidiosi. Inoltre l’insorgenza della sintomatologia psichiatrica (depressione, ansia, irritabilità) e la tendenza a chiudersi in sé pongono la ragazza in una condizione in cui ogni reazione è difficile ed anche l’accettazione di un aiuto esterno risulta problematica. Dal punto di vista del trattamento, l’intervento più efficace per ridurre i sintomi da digiuno è rappresentato dalla riabilitazione nutrizionale.
Per ciò che riguarda la bulimia, il fattore principale di mantenimento è costituito dal vomito autoindotto. Sia dal punto di vista psicologico che da quello fisiologico, è accertato che questa pratica tende a facilitare successive abbuffate e ad esasperarle ulteriormente. Il pensiero dominante diventa “Posso anche lasciarmi andare, tanto so che vomiterò”; talvolta l’abbuffata è spinta oltre i suoi limiti naturali perché solo se ci si sente pieni da scoppiare si riesce a vomitare. L’intervento più diretto, in questo caso, è rappresentato da una regolarizzazione dell’alimentazione che miri a spezzare il circolo vizioso della bulimia.
Inoltre, per quanto paradossale possa sembrare, le conseguenze di questi disturbi possono essere viste come vantaggi. Nell’anoressia, ad esempio il perdere peso dà un senso di gratificazione, di autocontrollo, di capacità di gestire la situazione, nonché la possibilità di attirare l’attenzione su di sé, di essere presenti agli occhi degli altri attraverso la scomparsa del proprio corpo.
Nel caso della bulimia nervosa, l’ingerire grandi quantità di cibo è un modo per sedare i momenti di ansia e di tensione, e i comportamenti eliminativi conseguenti, come il vomito o l’uso di lassativi, permettono di agire un certo controllo sulla situazione; eliminando il cibo si elimina ogni remora per averne assunto troppo.
Spesso la consapevolezza dei cosiddetti vantaggi è minima. La persona che chiede il trattamento è convinta in buona fede di voler cambiare, ma via via che il cambiamento si prospetta può accorgersi che la sua determinazione non è più così forte. Le conseguenze sono rappresentate da sensi di colpa e di svalorizzazione personale che possono vanificare la spinta al superamento del problema. In queste situazioni si rivela particolarmente utile una revisione della motivazione al trattamento, che aiuti la persona ad accrescere la consapevolezza delle proprie resistenze interne e a considerare il superamento di queste come una parte del lavoro da svolgere.
Infine, un fattore di mantenimento importante può essere rappresentato dalla dinamica familiare. Abbiamo detto precedentemente che non esiste una famiglia tipo legata ai disturbi del comportamento alimentare, tuttavia l’insorgere del problema può indurre comportamenti che, se sono perfettamente comprensibili, tendono però a perpetuare il disturbo. L’emergere di un atteggiamento iperprotettivo, caratterizzato da un’attenzione accentuata e diffusa sui comportamenti della figlia, ha, in ultima analisi, l’effetto di ridurne l’autonomia. Si viene a creare una situazione di regressione dell’intero nucleo ad un’età precedente della vita familiare quando, per esempio, i genitori dovevano occuparsi dell’alimentazione della figlia. Se consideriamo che il motore dei disturbi del comportamento alimentare è spesso rappresentato da una paura di crescere e di autonomizzarsi, ci rendiamo conto di come questa situazione può essere maggiormente coerente con il mantenimento del problema piuttosto che con il suo superamento. Un intervento di supporto ai familiari può rivelarsi estremamente utile, soprattutto se si muove nella direzione di accrescere le conoscenze del problema in modo da permettere ai genitori di svolgere più agevolmente le loro competenze. Una forma che nella nostra esperienza clinica si è rivelata particolarmente interessante è quella del gruppo di auto-aiuto, in cui i genitori scambiano le loro esperienze fornendosi un sostegno reciproco.